Domenica, 24 Novembre 2024

UN DECANO D'ALES REDENTORE DI SCHIAVI IN BARBERIA SUL FINIRE DEL CINQUECENTO

 

UN DECANO D'ALES REDENTORE DI SCHIAVI CRISTIANI IN BARBERIA SUL FINIRE DEL CINQUECENTO di Ciro Manca

In: Diocesi di Ales - Usellus - Terralba. Aspetti e valori, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, pp. 287 - 301

Sul finire del Cinquecento, ad Algeri, agirono successivamente due missioni, organizzate dalla Compagnia del Gonfalone di Roma allo scopo di redimere e manibus infidelium i cittadini dello Stato Ecclesiastico schiavi di quella reggenza barbaresca (1). Dell'una e dell'altra, tra il febbraio del 1585, fece parte Giovanni Sanna, un prelato sardo qualificato decano della Chiesa d'Ales e vescovo d'Ampurias (2); il quale, pur impegnato a operare in nome e per conto del Gonfalone, era autorizzato a riscattare autonomamente gli schiavi sardi presenti in Barberia (3).

La corsa barbaresca, matrice della schiavitù cristiana, per la sua straordinaria espansione specialmente dopo la battaglia di Lepanto, costituiva un'insidia e un'offesa per tutti gli stati europei rivieraschi del Mediterraneo (4), tra i quali il regno di Sardegna era particolarmente esposto alle incursioni ed alle razzie corsare, di cui soffriva le più pesanti conseguenze, militari, economiche, sociali e soprattutto umane.(5). Schiavi sardi popolavano in buon numero i bagni d'Algeri, Tunisi, Tripoli ed altre città nord-africane, ed alimentavano la schiera numerosa dei rinnegati, dalle cui file, già nella prima metà del Cinquecento, era uscito un sovrano d'Algeri (6). Sardi furono anche non pochi giannizzeri e rais, i capitani di vascelli corsari autori di numerose incursioni nell'isola e padroni, a loro volta, di non pochi altri schiavi sardi (7).

La causa del riscatto degli schiavi sardi in Barberia aveva condotto Giovanni Sanna a Roma — forse per iniziativa personale, forse per sollecitazione di governanti — per cercare d'associarsi a una missione dello Stato della Chiesa, che gli permettesse d'accedere al mercato degli schiavi cristiani e operarvi con reciproca utilità. Da una parte conveniva al decano d'Ales potersi presentare come membro d'una missione regolarmente accreditata presso le reggenze barbaresche, atteso che le iniziative d'isolati redentori non davano alcuna garanzia di sicurezza e di riuscita; d'altra parte conveniva al Gonfalone potersi avvalere della dignità ecclesiastica e della dottrina del decano, al quale fu perciò riconosciuta, fra i redentori romani, una posizione di grande rilievo e responsabilità(8).

Il grado del Sanna nella gerarchia ecclesiastica risulta con sicurezza da molteplici documenti, nei quali egli figura, per tutto il 1584 ed il 1585, come Iohannes Sanna Decanus Ecclesie Usellensis(9); egli stesso, del resto, nella corrispondenza pubblica e privata si sottoscrive Gio. Sanna sardo decano de Ales (10). A partire dall'autunno del 1586 si comincia a scrivere, curialmente, di Iohannes Sanna Episcopus Ampuriensis ... Decanus de Ales(11), ovvero, volgarmente, di Giovanni Sanna monsi­gnore d'Ampurias (12) ; mentre si fa riferimento, concretamente, ai negozi e alle rendite del suo vescovato in Sardegna (13). E' significativo che Gio. Sanna, ormai vescovo d'Ampurias ed accolto nella sua Sardegna con gli onori riservati a un cardinale, amasse pur sempre definirsi, non sappiamo se umilmente od orgogliosamente, decano d'Ales(14).

Sulla dottrina del Sanna possediamo la testimonianza, indiretta, di Sisto V, che in una lettera personale del 28 settembre 1586 gli si rivolge come a doctori utriusque iuris (15) ; ma sulla sua cultura, in senso più lato, possediamo la testimonianza, diretta ed eloquente, dei suoi autografi. A buona ragione, dalla Compagnia del Gonfalone venne affidata al decano d'Ales la compilazione di tutti i più importanti documenti finanziari e contabili, dai contratti di compravendita degli schiavi alle quietanze di pagamento, dalle lettere di cambio ai rendiconti delle missioni(16) ; gli venne inoltre affidata, per la sua buona conoscenza delle lingue, la cura dei rapporti diplomatici, con governanti cristiani e musulmani, e dei rapporti con gli stessi schiavi, appartenenti alle più disparate nazionalità(17).

Il 31 ottobre 1584 Giovanni Sanna assumeva il formale impegno di recarsi una prima volta «ad Algeri et altri luoghi di Barbarla» come deputato alla redenzione di schiavi «del Stato Ecclesiastico», unito a una missione del Gonfalone di cui facevano parte i padri cappuccini Pietro da Piacenza e Filippo da Rocca Contrada ed il laico romano Ludovico Giugni (18). Questa missione mosse da Roma ai primi di dicembre del 1584, sostando a Pisa, Lerici, Genova e Marsiglia ; di qui salpò per Algeri il 1° febbraio 1585, approdandovi il 20 dello stesso mese(19).

Ad Algeri, presentate le credenziali al pascià ed ottenutane licenza(20), in un paio di mesi si procedette al riscatto di 74 schiavi(21), fra i quali erano 4 sardi, che nel «Libro delli schiavi» conservato nell'archivio del Gonfalone troviamo descritti così(22) :

«N. 77. Nicolò Conca, sardo, nepote de ms. Antonio Lecca, preso da vascelli d'Algieri in una nave che veniva da Cagliari á Roma, è schiavo de Braim Mustafà et detto Nicolò è de età de anni 22. Racomandato dal Cardinal Farnese. Rescattato l'anno 1585 per scudi 250 d'oro in oro cioè scudi settantacinque de moneta ha sborsati per lui el zio et il resto ha pagato la Compagnia.

N. 275. Simone Mula, sardo, preso in Sardegna, è stato 33 anni schiavo de Mami d'Agi et è de età de anni 60. Rescattato l'anno 1585 per scudi 30 d'oro in oro de danari del S.or Decano.

N. 276. Gio. de Giovanni Porco, sardo della Villa de Cagliari, preso in Santa Caterina de Pizzinurri, è stato schiavo cinque anni de Mamet Aga turco, de età de anni 30. Rescattato l'anno 1585 per scudi 80 d'oro in oro de danari del S.or Decano.

N. 277. Pietro Pigliona de Gio. preso in Sardegna è stato schiavo 4 anni et mezzo de Mustafà de Sofi et è de età de 40 anni. Rescattato l'anno 1585 de danari suoi proprij per scudi 105 d'oro in oro».

Da diversa fonte si ha poi notizia d'un'anonima donna sarda riscattata dal decano ma subito morta di peste. Del suo riscatto non sono note altre modalità, compreso il prezzo (23).

Vale la pena osservare che i prezzi di riscatto degli schiavi sardi presentano una variabilità piuttosto estesa, dai 30 scudi di Simone Mula ai 250 scudi di Nicolò Conca, ed un valor medio sui 99 scudi, sensibilmente inferiore al prezzo medio pagato per gli altri schiavi riscattati dal Gonfalone, di circa 122 scudi per testa. A parte la scarsità dei dati sui quali fondare il confronto, si deve dire, in proposito, che i prezzi di riscatto, in generale, erano variabili in funzione di diversi fattori, quali la nazionalità, il sesso, l'età, lo stato di salute, la condizione economica personale e familiare, l'abilità. professionale dei riscattati (24).

Personalmente il decano d'Ales sostenne la spesa del riscatto di Simone Mula e Giovanni Porco, per complessivi 110 scudi d'oro, e dell'anonima donna morta di peste, non specificata. Va poi tenuto conto dei diritti gravanti sull'operazione, pertinenti al pascià ed ai suoi ufficiali, che non ammontarono a meno del 20 per cento del puro prezzo di riscatto (25), oltre ancora una quota delle spese generali d'organizzazione, trasferimento e residenza ad Algeri della missione (26). Il tutto dovette portare all'esborso di più di 200 scudi, ai quali andrebbero infine som­mati i denari elargiti dal Sanna per sovvenire alle necessità della comune opera di redenzione, non precisabili ma ammontanti a diverse altre centinaia di scudi(27). Il che, se testimonia della generosità del decano, testimonia pure d'una certa larghezza dei suoi mezzi finanziari.

Il positivo contributo dato da Giovanni Sanna alla prima missione del Gonfalone in Barberia fu prontamente riconosciuto ed apprezzato dal capo-missione Pietro da Piacenza, che il 20 aprile 1585 ne riferiva a Roma in questi termini: «Il Sr. Decano è boniss.o instrumento per questa opra, per essere di boniss.a conscienza pieno di charità tutto impiegato a beneficio de' poveri schiavi, et è stato causa che la Compagnia ha sparagnato qualche centenaro de scudi che si sarebbero pagati de interesse per bisogni che sono occorsi alli quali egli ha suppliti con li suoi proprij danari, prego dunque le SS. VV. farne stima, et farne gran capitale perché giovarà molto al negotio, oltre che serve nelle confessioni grandem.te per havere molte lingue» (28).

Quanto alla causa degli schiavi sardi, seppure i riscattati furono pochi, non per tanto la spedizione del decano può essere giudicata infruttuosa, trattandosi d'una prima esperienza messa a frutto nella seconda missione del Gonfalone, alla quale egli venne associato poco più tardi.

Ad Algeri, intanto, con l'arrivo della primavera era scoppiata la peste (29). Lasciati i padri Pietro e Filippo ad assistere gli schiavi cristiani(30), non meno di venticinquemila secondo la testimonianza dei redentori(31), Gio. Sanna e Lodovico Giugni, con i cristiani affrancati, il 30 aprile 1585 s'imbarcarono alla volta di Civitavecchia, toccandone il porto il 24 maggio; di lì, per Santa Severa e Malagrotta, il gruppo raggiunse Roma, dove i riscattati sarebbero stati presentati al papa. Ne dà notizia il decano in persona, in due lettere indirizzate da Civitavecchia ai guardiani dell'Arciconfraternita del Gonfalone, che trascriviamo di seguito. La prima, del 24 maggio: «Ill.mi Sig.ri, in q.a ora che saranno le 18 siamo rivati qua con li christiani ricatati in Algieri dal quale luoco partimo l'ultimo di Aprile. Ci siamo representati al S. Comissario di questa terra. Ci ha fato molte careçe la gente d'està terra. Vi avverto che per molti buoni rispeti mi ha parso che non desimbarque nessuno insino che le SS. V.re ordinerano quello che si ha di fare et come si ha de far venire la gente a Roma che passano il numero di 60. Mostrarvi il modo di come siano tanti se dirà de boca. Solo suplico a le SS. V.re darne l'ordine quanto più presto et il modo che si ha da tenere in condurre deta gente, si sarà per terra, o, per mare. Questa ho dato al Sig.or Jac.o Lorenzo Songia per che mandi un huomo con diligenzia a dare aviso a le SS. V.re a le quali che Dio benedetto feliciti come desiderano questi suoi servitori. Di Civita Vecha a li 24 di Magio 1585. De le V.re Ill.me Sig.e aff.mo servitore Gio. Sanna decano de Ales» (32).
La seconda, del 27 maggio: «Molti Ill.i Signori, con ms. Evangelista ho ricevuta oggi la de le SS.V.re et si ha fato lista de gli christiani ricatati in Algieri che verano a Roma a bagnare li piedi a Sua S.tà et fare reverentia et rendere gratie a le SS. V.re de gli beneffici recevuti, et che spetano de recevere. Se con la prima che scrissi alle SS. V.re fui breve sono con questa più solo a dire che mando a le SS. V.re le incluse letere, et, io non scrissi per danari per che non erano bisogno et manco mi servirò del credito de li 40 sc. che ms. Evangelista porta. Oggi ci porteremo a dormire a Santa Severa et domane che sarà martidì dormiremo a Malagrotta et questa serve per aviso et con questo baggio le mani a le SS. V.re. Di Civitta Vecha a li 27 maggio 1585. D. L. S. V.re aff.mo servitore il decano de Ales Gio. Sanna» (33).

Trascorsi sedici mesi dagli eventi descritti, nel settembre del 1586 ritroviamo a Roma il decano dAles, in procinto d'essere eletto vescovo d'Ampurias, intento a stringere un patto col Gonfalone, in virtù del quale egli si sarebbe recato una seconda volta in Barberia come redentore della Compagnia, alle stesse condizioni della prima volta, cioè a proprie spese ma con la libertà di riscattare per proprio conto un certo numero di schiavi sardi (34).

La nuova missione del Gonfalone, formata, oltre che da Giovanni Sanna, dai padri cappuccini Dionigi da Piacenza, Arcangelo da Rimini, Angelo da Forlì e Ilario da Bologna, salpò da Civitavecchia il 29 settembre 1586 e fece tappa ad Alghero (35), accolta con sollecitudine ed onore dalle locali autorità, come efficacemente riporta il padre Dionigi: «Gionti qui siamo stati tanto accarezzati dal Monsig.re Ill.mo di questa Città quanto non si potria di più principalmente per rispetto di Monsig.re nostro e poi voi altri Sig.ri et devotione dell'habito nostro e cossi siamo grandemente accarezzati da tutti e Monsig.re principalmente è tanto acarezzato e visitato da Alcaldi di quest'Isola e presentato come se fosse gionto un gran cardinale» (36).

Da Alghero, lasciati provvisoriamente a terra per infermità i padri Arcangelo ed Ilarione, il 29 ottobre si riprese il mare per Algeri, sbarcandovi il 5 novembre seguente (37). Preso nuovamente contatto col pascià ed ottenute le necessarie autorizzazioni, i redentori si misero prontamente all'opera ed entro il gennaio del 1587 conclusero il riscatto di ben 242 schiavi cristiani, 23 dei quali, questa volta, erano sardi (38).

Tutte le operazioni si svolsero dentro la città d'Algeri, quantunque a Giovanni Sanna, come redentore e come vescovo d'Ampurias, fosse stato concesso un salvacondotto che gli dava la più ampia libertà di movimento per tutta la Barberia. Nell'originale bilingue, «in idioma italiano e turchesco», si legge quanto segue :

«Noi Mahamet Bascià vice Re e Locotenente Generale della Città de Algeri e dil suo destritto, et giurisditione, concediamo libero, e franco salvo conduto e bona licentia a Mons.r.mo de Ampurias, di Sardigna, uno delli redentori dell'elimosina della venerabile Archiconfraternità dil Confalone di Roma, che possa andare, e tornare col suo vasciello, ò de altri, tanto sagettìe, come caravelle, orca, nave, barca, fregata, o qual si voglia, sia franco e salvo in ogni parte, tanto detto redentore come qual si voglia persona che in detto vasciello si troverà, e perché siamo tutti sogetti alla morte, ò occorrendo che detto Mons. Redentore venisse a morte, ò che restasse per infermità o in altro impedimento senza potere tornare in tal caso la veneràbile archiconfraternità possa liberam.te nominare altro redentore, uno ò quanto loro piacerà, in luoco dil sopra detto Mons. e questo salvo conduto s'intenda per quelli che saranno nominati, e per li compagni, e tutti li altri che in detto vasciello saranno con loro robe, e mercantie tanto di essi come dil patrone, e marinari e passsaggieri, che vi sarano siano di qual si voglia natione, quali posciano andare, venire, stare, negotiare, contrattare, liberam.te in questa nostra città de Algeri, et altri luochi soggetti alla nostra giurisditione, tanto da ponente come di levante, e quando per diffetto di tempo o altra cosa facessero scalla, o scorressero in isolle, terra ferma o in altro luoco sotto le fortezze, et in qual si voglia parte di Barberia et paesi a noi soggetti, siano non di meno salvi con loro robe, e tutti di detto vasciello, portandoli rispetto e facendoli ogni cortesia et honore, da qual si voglia sorte di corsari, che siano sotto nostra obbedienza, e comando in qual si voglia mare che li trovassero di Spagnia, Napoli, Sicilia, Sardignia, Corsica, Genova, Calabria, Francia et per tutto il mare bianco, comandiamo ad ogni bei e Cap.no d'Algeri, et ad altri Capitani rais, tanto di vascielli grossi, galleote, bergantini, fregatte et a qual si voglia altro corsario alla nostra giurisditione sogetto, che trovando li sopra detti Redentori, con loro vascielli, e suoi compagni et qual si voglia altro li debbiano osservare quanto in questo salvo conduto si contiene, sotto la pena a qui contrafarà di perder la vita e la roba, et per quanto loro stimano, de non incorrere nella disgratia dil nostro Gran Sig.re e patrone soltan Morato Ottomano, subito visto e letto questo nostro salvo conduto, li prestino fede, obbedienza, e lo restituirano e tornerano cortesem.te al sopra detto redentore essendo così nostra mente, e volontà, con lasciarli andare à seguitare il loro camino, senza nissuna sorte de impedimento. Datto in Algeri nel palatio della nostra solita residentia, firmato della gran ferma, scritto del mio regio secrettario e sigilato con il nostro solito sigillo reale questo a dì 16 di Genaro 1587» (39).

Nel solito «Libro delli schiavi» del Gonfalone i sardi riscattati sono descritti come segue (40) :

«N. 575. Giuliano Cuccù sardo d'Ampurias è stato schiavo anni 36 del Caito Aut. Rescattato su la parola del Vescovo de Ampurias per conto suo per doble 150 (sc. 40,5) de moneta de Algieri l'anno 1587.

N. 576. Pietro Sanna d'Ampurias stato schiavo 13 anni del Caito Aut. Rescattato da Mons.or d'Ampurias l'anno 1587 per doble 150 (sc. 40,5) su la parola de Mons.or.

N. 577. Andrea della Cona d'Ampurias schiavo de Caito Aut 15 anni. Rescattato de Mons.or d'Ampurias l'anno 1587 per doble 210 (sc. 54) preso su la parola de Mons.or.

N. 589. Bastiano de Mellone sardo schiavo de Isuf Odobasci renegato sardo è stato un anno et mezzo schiavo. Rescattato l'anno 1587 dal Vescovo de Ampurias per suo conto per doble 380 (sc. 102,5).

N. 600. Gasparo Cuccu sardo, preso in Sardegna, è stato schiavo otto anni de Isuf Odobasci renegato sardo. Rescattato l'anno 1587 da Mons.or d'Ampurias per doble 400 (sc. 108).

N. 601. Antonio sardo, preso in Sassari, è stato schiavo 8 anni de Musa rais. Preso da Mons.or d'Ampurias per conto suo per doble 300 (sc. 81). Rescattato l'anno 1587.

N. 605. Chirico de Rafando de Agios Diocese de Ampurias schiavo 3 anni de Osta Casson renegato spagnolo. Rescattato l'anno 1587 da Mons.or d'Ampurias per conto suo per doble 250 (sc. 67,5).

N. 606. Gio. de Rafando sardo de Agios Diocese de Ampurias è stato doi anni schiavo de Osta Casson. Rescattato l'anno 1587 da Mons.or d'Ampurias per doble 600 (sc. 162).

N. 608. Hieronima Castellona, presa nella nave de ms. Bartolomeo Nater venendo da Genova, schiava 17 anni de Amorat rais. Rescattata l'anno 1587 (sc. 51,5).

N. 677. Lionardo Soggia da Sassari, preso in Sardegna, è stato schiavo 20 anni de Maemet Cifat. Rescattato l'anno 1587 (sc. 17,5).

N. 680. Giovannicca de Antonio Carta della Villa d'Aggio in Sardegna, presa in terra a Curte, schiava del Catavo Baluc basci doi anni. Rescattata l'anno 1587 (sc. 81).

N. 681. Mattia de Gio. Pica de Narbo Villa de Sardegna, presa nella sua terra, è stata schiava de Morat Bascià tre ovvero quattro anni. Rescattata l'anno 1587 (sc. 81).

N. 709. Hieronimo de Martino de Campo de Sassari in Sardegna, preso all'isola de S. Pietro, è stato schiavo 13 anni de Arnaut Marni. Rescattato l'anno 1587 (sc. 125).

N. 874. Arcangnelo de Chirigo de Gallura in Sardegna schiavo del Caito Moratto in Algieri, è de età de anni 22. Rescattato l'anno 1587. (sc. 133,5).

N. 879. Filippo de Barisone Martis da Quarto de Sardegna, preso al capo de Carbonara, è stato 25 anni schiavo de Mamet Cerese. Rescattato l'anno 1587 (sc. 27).

N. 883. Gio. sardo de Pasqualino de Sori da Caragnani, preso in territorio vicino a Posada, è stato 21 anno schiavo de Isuffo Tabassi sardo. Rescattato l'anno 1587 (sc. 100).

N.944. Francesco de Peralta de l'Alghero in Sardegna, preso sopra una nave de Spagna, è stato 13 anni schiavo de Mamet Bascià. Rescattato l'anno 1587 (sc. 125).

N. 959. Lionardo sardo (Leonardo de Torri d'Alghero schiavo di Nibbi rais). Rescattato l'anno 1587 (sc. 27).

N. 961. Barsola Pira sarda (schiava d'Assan Balucbassi). Rescattata l'anno 1587 (sc. 17,5).

N. 967. Bastiano Cabido sardo. Rescattato l'anno 1587 (sc. 108)».

Nel «Libro del riscatto dato dalli Redentori», redatto dallo stesso decano d'Ales, sono annotati altri tre schiavi sardi riscattati dalla Compagnia (41) :

Angelo Pinna della Villa de Iglesias. Schiavo di Romadan figlio di Mamet Regiep. Riscattato l'anno 1587 per sc. 30. Paga la Compagnia per «poliza». Rimpatriato «amalato».

Gioani Vacha sardo. Schiavo di Mamet figlio di Isof. Riscattato nel 1587 per doble 250 (sc. 67,5). Paga la Compagnia per «poliza».

Angela Canas sarda. Riscattata nel 1587. Senza indicazione di prezzo.

Osserviamo di nuovo che i prezzi pagati nell'occasione per gli schiavi sardi risultano variabili dai 17 scudi e mezzo di Lionardo Soggia e Barsola Pira ai 162 scudi di Gio. de Rafando, con un valor medio di circa 75 scudi, contro i 106 scudi pagati dal Gonfalone per i riscattati di diversa nazionalità. Ma, come si è avvertito precedentemente, l'apprezzamento degli schiavi dipendeva da un insieme di circostanze quasi tutte estranee alla nazionalità.

Otto di quei sardi — in maggioranza originari della diocesi d'Ampurias — furono direttamente riscattati da Gio. Sanna, per un prezzo complessivo di 656 scudi d'oro. La somma esorbitava le immediate disponibilità del decano, che ottenne di liberare alcuni uomini «sulla parola», beninteso obbligandosi con regolari «polize» al pagamento dilazionato di 150 scudi(42).

Espletata la complessa procedura d'uscita e superata le non poche difficoltà frapposte dai giannizzeri e dallo stesso pascià (43), il 9 febbraio 1587, guidati da Giovanni Sanna, quasi tutti gli schiavi affrancati presero il mare alla volta di Civitavecchia e poi Roma, per essere «processualmente condotti avanti la Santità di Nostro Signore» (44).

Restavano in Barberia i padri cappuccini per continuarvi l'opera di redenzione (45), alla quale lo stesso decano aveva in animo di rimanere unito, secondo quanto riferisce al Gonfalone il padre Dionigi, sotto la data del 25 gennaio 1587:

«Non posso restare per debito mio di raccordare a tutta la Compagnia quanto siano debitori a Monsig.re Ill.mo di Ampurias (ancorché so che tutti l'amano et l'honorano). Sappiamo che egli per quest'opera e per servire alla Compagnia si è affaticato tanto che non ha perdonato ne a fatiche di travagliare molto, ne per infirmità si è mai ralentato tanto ancorché habbi sentito diverse infirmità e di stomaco e di podagre e di una gravissima percossa, ne a spese del suo in molte occasioni e in Sardegna e in Algieri in cose che spettavano alla Compagnia, et nel pigliare schiavi ancorché siano sardi vole pero che per honor della Compagnia venghino a Roma ancorché sarà con molta sua spesa, il che vedendo io ho voluto da me stesso mosso che per gli schiavi che egli ha comprato siano pagati gli dritti et la porta a nome della Compagnia perché non pareva raggionevole che facendo egli tanto in sodisfattione della Compagnia non fosse almen sgravato in qualche cosa poiché anco questo si fa a tutti gli altri senza alcuna replica; con quanta fideltà verso la Compagnia et zelo di essa facci tutte queste cose non le saprei isprimere di che le Sig.rie V.re ne vedranno anco maggior isperienza havendo egli animo di impiegare tutte le sue intrate dil vescovato in questa opra a nome della Compagnia, ma avertino le Sig.rie V.re che egli non sappi ch'io gli ne dico questo aviso ma con quella destrezza che la prudenza loro gli mostrarà pigliano occasione di questo e gli ne diano mottivo che so che egli come desidèro di ogni honor di Dio et della Compagnia si offerirà in quanto potrà e con questo le Sig.rie V.re abbracciano questo negotio suo con quella prontezza e riconoscimento che si deve, ché egli è per fare molto di più di quel ch'io dico anci di più egli ha intentione rissoluta che se il Pappa gli vole dare un indulto egli vole pigliare sopra il suo vescovato tre o quattro anate al presente et impiegarle in questa impresa e tutto so che lo farà a nome della Compagnia, il che quanto sii ad honor di Dio utile de molti et reputatione e credito alla Compagnia è cosa tanto evidente che non occorre dirne altro e non pensino le Sig.rie V.re che siano parole che lo farà di certo; avertino pure le Sig.rie V.re a negotiare con esso questo fatto nel modo che si conviene che vi assicuro che lo farà ma lo abbraccino gagliardamente e lo favorriscano quanto potranno con N. S. che vedrete fatti e non parole pur che dal canto delle Sig.rie V.re non si manchi e se ne mostri quella grattitudine che merita cossi segnalato serviggio, ma di gratia avvertino a non fargli motto di questa mia instruttione tanto più che con ogni suo mottivo egli si lassiarà intendere in modo che le Sig.rie V.re haveranno campo da potere comodamente intrare sopra a questo negotio» (46).

Un elogio pieno, come si vede, in cui si sottolinea lo spirito di sacrificio del vescovo sardo, la sua dedizione all'opera della redenzione, la sua intenzione di sostenerla finanziariamente, la sua lealtà verso la Compagnia. Nondimeno, l'accoglienza riservatagli a Roma non fu altrettanto soddisfatta e soddisfacente, poiché gli si rimproverò d'avere ecceduto nella quantità e nella qualità dei riscatti, indebitando il Gonfalone e soprattutto riscattando troppi schiavi di stati diversi da quello ecclesiastico, tra i quali si contavano due dozzine di sardi (47}.

Non ci si rendeva conto che in Barberia, tanto da parte cristiana che da parte musulmana dall'«elemosina di Roma» non si aspettava, né si giustificava, alcuna discriminazione di nazionalità. Un punto di vista, questo, condiviso da tutti i redentori, compreso il decano d'Ales, che scrivevano testual­mente: «...ci parreria bene, poiché questa elemosina esce da Roma capo del mondo, che anco fosse comune a tutti...»(48). Del resto, sarebbe stato obiettivamente difficile convincere la gente d'una necessaria separazione fra Stato della Chiesa e Santa Sede, «perché — sottolineano ancora i redentori — nelle opinioni sì de schiavi come de turchi per la più parte è che questa, per dirsi elemosina di Roma, venghi immediatamente da Sua Santità» (49).

Non mancavano al Sanna, dunque, le buone ragioni, né la solidarietà di quanti ne avevano apprezzato l'impegno ad Algeri.
Il mercante e banchiere marsigliese Guglielmo Borgal, corrispondente del Gonfalone in Barberia, così commentava l'atteggiamento dei guardiani della Compagnia, in una lettera indirizzata loro il 15 settembre 1587:

«Me despiaciuto intrinsicamente aver inteso li romori e fastidi sono passati tra V. S. e il R.do Monsignore d'Ampurias circa l'opera de' riscatti, cosa che non corresponde ni è condegna a li meriti travagli e fastidi de detto R.do Monsignore e de questi R.di padri li quali per le sue buone opere exempi moribus e vita anno fondatta questa vostra redentione con tanto honore e creditto che pottete dir cosa che mai hanno pottutto dir nesciune altre persone che habiano mandatto qua elemosine ne redentori per che a le vostri se li crederebe de mile cristiani e più ala volta e vi sono raix che li hanno oferto tutti li eschiavi de le sue galeotte a pagar a la venuta de la elemosina quel che non voleno far a altri e per Algieri e in boca de queste gente non se ne sente altro che la Compagnia del Gonfalone di Roma con una honor e veneration grandissima. Imperò se V. S. rimunerano in tal modo quelli che s'afaticano in suo servitio credo che pochi se troveranno e saranno quelli che vi voleranno servire. Et de più ardisco avertirli che questo è uno giocare l'onore e creditto de questa vostra opera...» (50).

La conseguenza di questa tensione fu una rottura tra l'Arciconfraternita ed il vescovo d'Ampurias, che lungi dal mettere se stesso e le rendite del suo vescovato al servizio dell'opera del riscatto di Roma, così come aveva in animo di fare ed aveva riferito il padre Dionigi, si rifugiò nella sua isola, senza più dare notizie al Gonfalone, omettendo perfino di pagare il suo debito di 150 scudi d'oro, lasciato scoperto in Algeri (51). Una reazione risentita e, se si vuole, poco evangelica, ma, in conclusione, virile e proporzionata all'insensibilità e all'ingratitudine della Compagnia romana.

Giovanni Sanna fu vescovo d'Ampurias fino al 1607, anno della sua morte (52).

CIRO MANCA

NOTE

(1)Sulla costituzione dell'«opera del riscatto de' schiavi» in seno alla Compagnia del Gonfalone di Roma si veda la bolla di Gregorio XIII Christianae nobiscum del 28 maggio 1581, riprodotta in appendice agli Statuti della venerabile Archiconfraternita del Gonfalone, Roma 1825, pp. 146-153. Sull'organizzazione delle prime missioni di riscatto del Gonfalone in Barberia, alle quali ci riferiamo, una documentazione copiosa è conservata nello ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Fondo del Gonfalone (abbreviato in ASV, Gonf.), Istromenti Libro 5°, Libri Diversi T, U, V, Y, Mazzi G, H.

(2) Sulla figura di Giovanni Sanna, nato a Santu Lussurgiu nella diocesi di Bosa, decano del capitolo cattedrale d'Ales e dal 1586 vescovo d'Ampurias, si trovano brevi o brevissimi cenni in C. EUBEL, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Muenster 1923 (rist. Padova 1960), p. 107; P. B. GAMS, Series episcoporum ecclesiae catholicae, Regensburg 1873 (rist. Graz 1957), p. 833; P. MARTINI, Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, p. 351; S. PINTUS, Vescovi di Pausania, Civita, Ampurias, in «Archivio storico sardo», IV (1908), p. 110. In quest'ultimo repertorio si riferisce, senza commento, che il Sanna «diede opera alla redenzione degli schiavi sardi».

(3) Documenti originali ed autografi di Giovanni Sanna, relativi alle sue missioni ad Algeri, sono numerosi tra le carte della Compagnia del Gonfalone (ASV, Gonf., Istromenti Libro 5°, fasc. 23, ff. 1-4v; Libri Diversi U, ff. 48v, 99, 99v, 101v, 103v-104v; Libri Diversi V, passim; Libri Diversi Y, ff. 2-4v, 5v, 6, 8-9v, 25, 25v, 46v, 47, 58, 58v, 59v-60v; Mazzo G, ff. 14-30, 38, 92-100, 104-105, 110, 114-119v, 123-126, 139-149v, 152-161v, 163-168, 171-172v, 175-183, 189-201, 243-245, 252, 265-268v, 281, 394, 407, 446457, 461-512v; Mazzo H, ff. 65, 65v, 97, 99, 99v, 132, 132v, 148, 148v, 151, 152v, 584-594v).

(4) Sulla corsa barbaresca si veda l'esauriente trattazione di S. BONO, I corsari barbareschi, Torino 1964; sulla connessa schiavitù cristiana, la recente sintesi di C. MANCA, Problemi aperti sul commercio e sul riscatto degli schiavi cristiani nel Mediterraneo dopo Lepanto, estratto da «Africa», Roma 1974, nonché la bibliografia ivi citata.

5 Cfr. P. AMAT DI SAN FILIPPO, Della schiavitù e del servaggio in Sardegna. Indagini e studi, Torino 1894, pp. 16 s.; ID., Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna, Torino 1902, pp. 131 s.; S. BONO, I corsari barbareschi, cit., pp. 167 ss.; F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino 1953, p. 161; P. MARTINI, Storia delle invasioni degli Arabi e delle piraterie dei Barbareschi in Sardegna, Cagliari 1861, passim; E. SARRABLO AGUARELES, Cerdeña y el peligro turco en et Mediterráneo durante el siglo XVI, in «Actas del VI Congresso de Historia de la Corona de Aragón», Madrid 1959, pp. 934 ss.; G. SORGIA, Il Parlamento del Viceré Fernandez de Heredia (1553-1554), Milano 1963, pp. 28 ss.; ID., La politica nord-airicana di Carlo V, Padova 1963, pp. 21 s.

(6) Cfr. per tutti L. PINELLI, Un corsaro sardo re di Algeri, Sassari 1972.

(7) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 100, 101v, 103v, 105v; Libri diversi V, ff. 4v, 13, 13v; Mazzo G, ff. 221, 290, 504; Mazzo H, f. 54.

(8) Nelle istruzioni impartite dalla Compagnia del Gonfalone ai redentori della prima missione, datate 30 novembre 1584, è scritto testualmente: «... tutta quella reverentia et obedientia che dovevi alli frati la portarete al detto sr. Decano il quale per la dignità sacerdotale et età conviene che da noi in detto loco de superiorità sia posto» (ASV, Gonf., Mazzo H, f. 591v).

(9) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 5v, 8-9v, 25; Mazzo G, ff. 24, 25, 29; Mazzo H, ff. 65v, 99, 584, 592v, 594.

(10) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 18, 93, 94v, 97v, 98v, 100, 116, 117, 446.

(11) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, f. 60.

(12) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 99, 99v, 101 v, 103v, 104v; Mazzo G, ff. 139, 141v, 142, 144, 147v, 149v, 153v, 156v, 158v, 161, 165, 167, 179, 181, 183, 189, 195, 199v, 243, 252, 265, 268, 449, 452, 501; Mazzo H, ff. 148v, 151.

(13) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 161, 161v, 171. Nel repertorio dei vescovi sardi curato dall'EUBEL, loc. cit., si legge che Giovanni Sanna, praesbiter diocesis Arboren., venne formalmente eletto vescovo d'Ampurias il 26 novembre 1586, succedendo a Miquel Rubió, praesentatus a caesare. Quest'ultima circostanza significa che il Sanna, in quell'autunno del 1586, era giunto a Roma già designato all'ufficio dal suo re, Filippo II, e quindi giustifica che ancora prima dell'investitura pontificia egli fosse comunemente qualificato vescovo d'Ampurias. Sulla prassi dell'elezione cfr. G. LUNADORO, Relatione della Corte di Roma, e de' riti da osservarsi in essa, e de' suoi Magistrati, e officij, con la loro distinta giurisdittione, Venezia 1664, pp. 178 ss.

(14) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 58, 60v; Mazzo G, ff. 21, 22, 146, 394, 456, 461-512.

(15) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 46v, 47.

(16) ASV, Gonf., Libri Diversi V, ff. 1-15; Libri Diversi Y, ff. 58, 60v; Mazzo G, ff. 21, 22, 23, 100, 394, 407, 446, 456, 461-512.

(17) ASV, Gonf., Mazzo B, ff. 96, 106v, 139, 163.

(18) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 5v, 6; Mazzo H, ff. 584-594v.

(19) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92-93, 96-97v, 104-105, 131. Documenti già utilizzati da S. BONO, La missione dei cappuccini ad Algeri per il riscatto degli schiavi cristiani nel 1585, estratto da «Collectanea Franciscana», Roma 1955, pp. 24. ss.

(20) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 104-105. Cfr. S. BONO, La missione dei cappuccini, cit., pp. 30 s.

(21) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 2, 5v, 10, 11, 15, 17v, 18v, 21v, 30, 38, 39v-45v, 46v-50v, 55; Libri Diversi Y, ff. 7-25v, 26v; Mazzo G, ff. 30, 114, 289-346, 350, 351v, 446-451v, 454-457v; Mazzo H, ff. 63-102.

(22) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 15, 48v, 49. Si tenga presente che gli scudi d'oro in oro, in cui vengono espressi i prezzi di riscatto, sono quelli coniati a Roma, sul modello degli scudi francesi e spagnoli, al titolo di 22 carati ed al taglio di 102 pezzi per libbra di 339 grammi, contenenti perciò circa 3 grammi d'oro fino (cfr. G. GARAMPI, Saggi di osservazione sul valore delle antiche monete pontificie, Roma 1776, pp. 60 ss.).

(23) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 114.

(24) C. MANCA, op. cit., p. 17.

(25) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 96v, 104, 104v. Cfr. S. BONO, La missione dei cappuccini, cit., pp. 27, 30.

(26) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92, 97v; Mazzo H, ff. 584v, 589.

(27) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92v, 106, 114, 117.

(28) ASV, Gonf. Mazzo G. f. 106v.

(29) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 112, 114.

(30) ASV, Gonf., Libri Diversi V, f. 3; Mazzo G, ff. 30, 114-115v, 119, 119v, 123-124. I Cappuccini rimasti ad Algeri, tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate di quel 1585, portarono assiduamente soccorso a molte centinaia di schiavi, venendone alla fine irrimediabilmente contagiati. Il padre Pietro da Piacenza morì il 6 di giugno; il padre Filippo da Rocca Contrada, il 6 d'agosto, esattamente due mesi più tardi (ibidem, Mazzo G, ff. 119, 125, 127; Mazzo H, f. 99).

(31) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 106.

(32) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 116.

(33) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 117.

(34) ASV, Gonf., Istromenti Libro 5', fase. 23, ff. 14v; Mazzo G, ff. 161, 268, 281.

(35) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 139.

(36) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 139v.

(37) ASV, Gonf., Mazzo G., f. 142.

(38) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 5v, 6, 7, 9v, 13, 18v, 19v, 25v, 29, 39v, 52, 53v, 56, 59v, 62, 66, 78v, 86v, 87, 90, 90v, 92v, 99-107, 108-110, 111v-115, 116-120, 121-122, 149-153V, 154-166v; Libri Diversi V, ff. 2v, 3v-8, 10, 13, 13v; Libri Diversi Y, ff. 26, 28, 39, 39v, 47v, 49v, 51-55, 58-60v; Mazzo G, ff. 123, 142-149v, 154, 160v, 163v, 167v, 173, 177, 191v, 192, 199, 212, 215, 240v, 243v, 244, 252, 252v, 271, 281, 283, 367, 367v, 376, 376v, 385, 394-405v, 461-512v; Mazzo H, ff. 54-55v, 102.

(39) ASV, Gonf., Mazzo H, ff. 148, 148v.

(40) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 99, 99v, 101 v, 103v-104v, 116v, 117, 121 v, 149, 150, 151v, 161, 163v, 164v.

(41) ASV, Gonf., Libri Diversi V, ff. 4v, 7-8, 10, 13.

(42) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 199v, 265, 268.

(43) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 152, 154-156v, 163-164v.

(44) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 171, 179, 181v; Mazzo H, f. 27.

(45) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 167-170v, 175-183, 187-188v, 191-192v, 199-201, 212-214v, 219-228v, 233-276v. I padri Dionigi da Piacenza ed Arcangelo da Rimini, ultimi redentori del Gonfalone, lasciarono Algeri due anni e mezzo più tardi, dopo avere superato aspri contrasti tanto col governo locale quanto coi guardiani della Compagnia romana, approdando finalmente a Portofino il 26 ottobre 1589 ( ibidem, ff. 281, 281v.).

(46) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 161, 161-v.

(47) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 142-143v, 146-149v, 191-192v, 199-201.

(48) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 149.

(49) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 199.

(50) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 189, 189v.

(51)Supra, nota 42. L'intenzionalità di questa omissione fu peraltro esclusa dai redentori, rimasti ad Algeri; i quali, pur lamentandosene perché costretti a pagare in vece del Sanna, ne invocavano ancora la buona fede nel luglio del 1589, scrivendo testualmente al Gonfalone: «Al sicuro neccessario pagare cento cinquanta scuti delli debiti di Monsig.re di Ampurias come compagno nostro allegando tutti questi che gli hanno dato per noi cioè credendo dargli all'elemosina e questo basta in queste parti per lor iustificatione anco solo dicendo che era nostro compagno alli oblighi dil quale basta per essere tenuti oltre che quando anco non si fosse forcciato crediamo saria meglio pagarli per essere poi da esso rimborsati che lasciare tanti gridi per Algeri de christiani et turchi dil nome della Compagnia del Confalone sopra a che se sfogaria ogni cosa sì che per non perdere quello che con tanti sudori e travagli e spese si è sostentato saria men male il sodisfare a questa soma ... è ben vero che anco siamo certi che in questo non vi colpa Monsignore per malitia se non forse per qualche mancamento di memoria e che gli ordini dati da lui non sono stati intesi o esequiti secondo l'intenzione sua... (ASV, Gonf., Mazzo G, f. 268).

(52) Supra, nota 2. Stando alla sommaria biografia data dal PINTUS, loc. cit., Gio. Sanna si sarebbe segnalato, durante i vent'anni del suo vescovato, per la virtù personale, la magnificenza e la generosità nelle opere pubbliche. In particolare, all'iniziativa del vescovo si attribuisce l'erezione della cattedrale di Castelsardo nonché la fondazione di due case gesuitiche, a Cagliari e Sassari, alla quale fondazione egli contribuì con 8.000 ducati e 25.000 scudi sardi.

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