Domenica, 24 Novembre 2024

Testimonianza di Paolo Ballero Pes

Di lui, più delle mie modeste parole, parla la lapide che gli artisti di Venezia hanno voluto porre a suo eterno ricordo.

E più ancora della lapide, parla la storia di questa nostra lotta per la libertà, della quale egli fu primo alfiere e antico sostenitore.

Ho un ricordo di lui nitido e preciso, sebbene sbiadito da quasi dieci anni di distanza.

Un ricordo di lui, in quelle sue rare apparizioni estive nella Cagliari che gli aveva dato i natali e che amava, fatto di gentilezza e signorilità, che erano le sue doti più caratteristiche e di quella sua voce buona, calma, suasiva che penetrava nell’ animo sino a scuoterne le più intime fibre. Allora io, come forse tutti i giovani della mia generazione, avevamo sete di parole vere e sane e guardavamo a coloro che le dicevano, che anzi osavano dirle, come a degli uomini veramente eroici.

Forse la mia generazione è stata ammalata di viltà e abbrutita da falso entusiasmo. Stupivamo noi stessi, allor,a, dl sentirci trascinare nel fango e nella menzogna ogni giorno vieppiù, e non avevamo la forza di reagire, di fermarci, di opporci, di combattere.

Bartolomeo Meloni ci accoglieva allora, in quelle magnifiche notti estive della nostra città, accanto a sé e ci invitava con il suo discorso, non acceso da odio perchè di odio Meo non era capace, ma vivido di luce e di comprensione, ci invitava semplicemente a meditare, a riflettere, a pensare.

E ci parlava dell’ Italia con lo stesso entusiasmo, la stessa fede, lo stesso palpito con cui ci avrebbe parlato della sua prima, unica donna.

Di quotidiani contatti con uomini come lui avremmo avuto bisogno, noi giovani, per poter veramente intendere la perfidia dell’ombra che ci avvolgeva e giungere a strapparne il velo.

Ma di uomini come lui ne esistevano, allora, ben pochi, e sopratutto la vita ne rendeva impossibile la comunione continua.

Aveva un suo modo di parlare tutto speciale. Dopo lunghi silenzi, mentre ci ascoltava seduto tra noi ad un tavolino del caffè “Caredda e Loi", di Piazza Martiri o lungo il solitario viale del terrapieno, interveniva con una inaspettata veemenza di parole, calde, convincenti, sincere. A forma di interrogativi continui, ai quali noi non potevamo rispondere se non convenendo con lui. E non si gloriava deI trionfo, ma quasi compiangeva il nostro smarrimento spirituale e avrebbe voluto, oh ne l’sono sicuro!, avrebbe voluto che anche noi possedessimo la sua purezza di idee e la sua fede cristallina.

Una, due, tre estati, non ricordo più! Eravamo quasi coinquilini e alla sera, dopo cena, per una inveterata abitudine familiare, eravamo soliti scendere nella breve piazzetta, entrare in quel piccolo chiaro bar d’ angolo, sorbire la tazzina di caffè, e poi fare le ore piccole, tra una chiacchiera e l’altra, tra una sigaretta e l' altra.

Eravamo sempre il solito gruppo di giovanissimi e di meno giovani.

Poi, sul tardi, quasi a giorno, Meo ed io si ritornava soli a casa, discendendo tra i pini del silenzioso viale.

E parlava con me, come con un suo vecchio amico.

Poi la vita ci assorbì, ci divise. Del gruppo molti morirono, altri si perdettero.

Prima di Meo, Toni Ruzza, scomparso a Tepeleni in un inutile sacrificio per un ideale non suo, per un dovere ingiusto. E poco tempo fa notizia amara, triste, della sua fine in un canipo di concentramento tedesco.

La fine cui ambiva, cui aveva sempre ambito.

Perché al di sopra della sua fede, al di sopra di ogni idea di parte, al di sopra del suo credo personale, Bartolomeo Meloni poneva la Patria, l’ Italia.

E per I’ Italia è caduto.

Quando il 25 luglio 1943 il fascismo cadde ignominiosamente in Italia, Bartolomeo Meloni comprese che giungeva per lui il momento di mutare in azione quanto la sua fede gli aveva dettato per interi anni, nella costruzione morale e materiale cui era statò soggetto.

Ed in quella Venezia dove da anni prodigava il meglio del suo ingegno e del suo cuore, egli fu tra i primi ad agitare il vessillo della riconquistata libertà, ad infiammare con la sua parola vibrante di caldo amore patrio l' animo di chi incerto dubitava, o di chi sgomento si ritirava.

Il 9 settembre lo trovò sulla breccia, braccato dai suoi nemici che lo temevano ed odiavano.

Ma non si perdette d’ animo. E solo ricominciò nell’ ombra della cospirazione - la sua era un’ anima di carbonaro - la sua lotta. E fu dovunque la sua parola era necessaria, la sua presenza richiesta.

Fedele a sè stesso ed alla sua idea - l’ Italia - non conobbe tregua, non paventò pericolo, non conobbe titubanza.

Illuminato dalla sua grande fede percorse le buie strade dello smarrimento seguito all’ armistizio ricercando i puri, riallacciando legami, creando focolai, ravvivando, maturando, alimentando continuamente lo spirito di rivolta, inculcando la necessità di credere - per poter sopravvivere - che quella libertà sarebbe ritornata ancor più bella, ancor più trionfante, ancor più splendida.

Certo di avere un nemico ad ogni angolo di casa, fu costretto a nascondersi, ma non a fuggire. Pure nell’ombra del suo nascondiglio, che spesso era costretto a mutare, continuò la sua opera.

Finché, dimentico di sé stesso, di ogni pericolo, certo che questa sua opera sarebbe stata ancora più utile se continuata nelle piazze e nelle strade, riprese la sua vita di ogni giorno.

Ma fu scoperto e catturato.

Poiché lo si sapeva a capo di una organizzazione clandestina, si volle che lui parlasse e rivelasse i nomi degli altri affiliati. Fu torturato, a lungo, per giorni e giorni, inutilmente.

In quel suo volto buono, in quei suoi occhi di mite, puro, passò la sofferenza, lasciò traccie profonde, solchi imperituri. Ma le sue labbra rimasero mute. Di prigione in prigione, di campo in campo, tra sofferenze inaudite, sempie più lontano dalla sua Venezia, dalla sua Patria. Ma sempre muto.

Fino a quando la ferocia tedesca avvelenata da quel mutismo, inferocita da quell’ eroismo non fece le sue vendette contro di lui, freddamente e volgarmente come sempre, costringendolo a utia vita impossibile nella bolgia infernale di Dachau.

E si consunse! E fu immortalato!

Un giorno, a sua madre, a quella povera santa donna di sua madre che venerava ed adorava ebbe a dire:

"Offro a Dio la mia vita perché l’ Italia sia salva dal fascismo".

Erano parole convinte, dettate da un forte convincimento di parte; erano le parole di chi sa che la libertà è il dono più bello della vita che Dio abbia potuto concedere all’ uomo, di chi sentiva l’amara sofferenza di vedere la sua Patria, i suoi fratelli, privi di tal dono.

Oggi, nella città che conobbe le capacità del suo alto ingegno, le doti migliori del suo magnifico cuore e i palpiti più puri della sua fede, il suo nome è scolpito sul marmo a fianco di quelli di Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, le più pure glorie del risorgimento italiano di Venezia.

Ma più che nel marmo, più che nella pietra il suo nome è inciso nel cuore del popolo di Venezia, nell’anima nobile di quel generoso popolo che ha voluto, riconquistata la sua libertà, che Bartolomeo Meloni vivesse in eterno tra i suoi grandi nella fierezza del suo sacrifio compiuto e nella certezza del suo esempio fruttuoso.

Che il suo nome rimanga nel marmo e nel cuore anche dei sardi, in quella sua fiera terra che egli amò sempre d’ un costante vivo amore, di cui seppe conservare e maturare in sé ed immortalare nel luminoso sacrificio la nobiltà dell’ eroismo, la tenacia dell’ opera, la lealtà del sentimento, la grandezza della fedeltà alla parola data.

Paolo Ballero Pes

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