Domenica, 24 Novembre 2024

Donna Francesca Zatrillas

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PARA PERPETVA NOTA DE INFAMIA DE QVE FVEREON TRAYDORES DEL REY NVESTRO SENOR DON JAIME ARTAL DEL CASTELVI QVE FVE MARQVES DE CEA DOÑA FRANCISCA CETRILLAS QVE FVE MARQVESA DE SETEFUENTES DON ANTONIO BRONDO DON SILVESTRE AYMERICH DON FRAN. CAO DON FRAN. PORTVGVES Y DON GAVINO GRIXONI COMO REOS DE CRIMEN LESE MAGESTAD POR HOMICIDAS DEL MARQVES DE CAMARASA VI REY DE CERDENA FVERON CONDENADOS A MVERTE, PERDIDA DE BIENES Y DE HONORES DEMOLIDAS SVS CASAS CONSERVANDO EN SV RVINA ETERNA IGNOMINIA DE SV NEFANDA MEMORIA Y POR SER EN ESTO SITIO LA CASA DE DONDE SE COMETIO DELICTO TAN ATROZ A VEYNTE Y VNO DE JYLIO DE MIL SEISCIENTOS SESENTA Y OCHO SE ERIGIO ESTE EPITAPHIO.

La storia di Donna Francesca Zatrillas, Marchesa di Settefuentes, Signora per tanto di Santulussurgiu, merita di essere narrata per il suo esagitato moto romanzesco, denso di quella passionalità amorosa e politica, ad un tempo, che alimentò congiure, assassinii, cause e sentenze capitali, deportazioni e tradimenti, sconvolgendo tutta la isolana vita politica religiosa e nobiliare della seconda metà del sec. XVII.

Don Giambattista Zatrillas ebbe dalla sua unione con Donna Anna Maria di Castelvì y Lanza un unica figlia: Francesca, donna di splendente bellezza, emulatrice della sua omonima, figlia di Guido da Polenta, la Francesca da Rimini, che altra tragedia originò con la sua tresca col cognato Paolo Malatesta.

La nostra Francesca non si limitò, come l'altra, al tradimento del marito, ma fece qualcosa di più.

La Casa Zatrillas non doveva essere in condizioni economiche floride se Don Giambattista consentì il matrimonio della giovane e bellissima sua figlia con suo cognato Don Agostino di Castelvì y Lanza, Marchese di Laconi, fratello della madre di Francesca; uomo carico di anni e di danari, uno dei più ricchi feudatari di Sicilia quale figlio della Principessa Lanza, del Principe di Latravia, e il più grande feudatario sardo. Fra zio e nipote, malgrado le disparità fisiche e di anni, avvenne questo infelice matrimonio ch'ebbe funestissime conseguenze.

Siamo nel 1668; Don Agostino, prima voce del Parlamento Sardo, essendo capo del ramo dei nobili, ossia del ramo militare, propose in Parlamento di respingere le richieste di danaro da parte di Marianna d'Austria, reggente il trono spagnolo durante la minore età di Carlo II, ove da parte della Corona non fossero restituiti all'isola gli antichi privilegi:   prelatura e cariche civili a favore dei sardi.

Il Parlamento, diviso in due partiti di cui quello filospagnolo era capeggiato da Don Martino Alagon Marchese di Villasor da quindici anni in piena rotta coi Castelvì che rappresentavano il partito sardo, prese la determinazione di inviare Don Agostino in Spagna per presentare alla Corona le sarde desiderata e chiedere il riconoscimento dei privilegi predetti, perché potesse lo stesso Parlamento approvare la richiesta sovvenzione necessaria alla Spagna per sopperire alle spese di guerra contro la Francia.

Dopo un anno e mezzo di permanenza in Spagna, Don Agostino se ne tornò in Sardegna senza alcun riconoscimento, senza alcun benefizio da parte della Corona per l'isola, per cui all'arrivo fu dal popolo, dal clero e dai nobili, accolto trionfalmente a significare l'unanime consenso alla sua opera; e il Parlamento respinse la richiesta della Regina; mentre il Viceré, Marchese di Cammarassa, tagliò corto, pur di strappare soldi ai sardi, con lo sciogliere il Parlamento stesso.

Durante la lunga permanenza in Spagna di Don Agostino, Donna Francesca, innamoratasi di suo cugino Don Silvestro Aymerich, giovane bello e aitante, pensò di colmare la sua solitudine con questi ed entrambi furono ben presto presi da una morbosa passione amorosa.

Stavano così messe le faccende dentro e fuori Casa Castelvì, quando la notte del 20 giugno 1668, verso l'una e mezza, mentre era di ritorno da una visita a una sua vecchia amica, accompagnato da un servo, Don Agostino giunto all'altezza della Casa di Don Giuseppe Nino fu ucciso da una scarica di fucilate di sei armati appostati nel buio del portone.

La ferale notizia, subito propagatasi per la città, mosse di sdegno la vasta parentela, popolo e clero, attribuendo subito ad una congiura viceregia la soppressione del gentiluomo, accanito oppositore alle richieste della Corona, prima voce dello Stamento.

Giunto a Cagliari il fratello Don Giacomo Artaldo di Castelvì, Marchese di Cea e Signore di Siligo, Meilogu e Montesanto, riunì subito il gruppo più fidato dei nobili amici di Don Agostino e si giurò vendetta sugli assassini e loro mandanti capo dei quali fu subito ritenuto il Viceré Don Emanuele de Los Cobos Marchese di Cammarassa. E la vendetta non tardò, spietata e sanguinosa.

Al mese esatto, il 21 luglio, mentre il Viceré, unitamente alla moglie Donna Isabella di Portocanero e quattro figliole, rientrava in carrozza dalla festa del Carmine, nella casa del Mercante Antonio Brondo prossima alla Chiesa di S. Caterina in Castello, erano convenuti Don Francesco Cao, Don Francesco Portoghese, Don Gavino Grisoni, Don Antioco Brondo Marchese di Villacidro, e Don Giacomo Artaldo di Castelvì, con una ben selezionata servitù atta alle armi. Allorquando passò il Corteo Viceregio scortato da armati fu un crepitare diabolico di fucileria: con 19 palle in corpo il Viceré si accasciò esanime sui cuscini insanguinati e su di lui, ferita, la moglie Donna Isabella, tra gli urli di terrore delle figlie, del popolo e lo scompiglio delle forze armate che aprirono il fuoco contro la casa del mercante, mentre ì cavalli, perdenti sangue anch'essi, si lanciarono spauriti riportando la tragica sanguinante carrozza nella Reggia.

Una parte della scorta tentò di circondare la casa dove s'erano annidati i congiurati, per arrestarli, ma da tutte le finestre fu un continuo crepitare di fucileria per cui dovette abbandonare l'impresa.

Dopo il misfatto i congiurati corsero a rifugiarsi nel Convento di San Francesco in Stampace presidiato da oltre 200 loro armati.

La giovane vedova aveva intanto chiesto giustizia imputando della morte del marito il Viceré Camarassa e in un primo processo, mediante testi prezzolati, si riuscì a quasi provare la correità del Viceré, ma la Corona, scossa dal misfatto, spedì con un nerbo di truppe spagnole, il Duca di San Germano, Don Francesco Tuttavilla: un pugno d'acciaio stringente una carta reale con i pieni poteri per far giustizia alla Corona offesa, e il 26 dicembre 1668 sbarcò a Cagliari deciso a tutto.

Celebrato il processo per l'uccisione di Don Emanuele Camarassa, previo strappi di corde, e movimento di ruote per far cantare i testimoni reticenti o falsi, si appalesò l'innocenza del Camarassa e d'altro lato venne in luce la tresca di Donna Francesca con Don Silvestro e l'orditura di questi amanti per far fuori il terzo incomodo. E sentenza fu pronunciata: Condannati a morte per lesa maestà Don Giacomo Artaldo di Castelvì Marchese di Cea, Don Francesco Portoghese, Don Francesco Cao, Don Gavino Grisconi e Don Antioco Brondo; taglia di 6 mila scudi su Don Giacomo Artaldo. Fu condannato a morte anche Don Silvestro Aymerich.

Furono anche incriminati come «ausiliadores e fautores» Don Carlo Manca di Guiso Marchese di Albis, Don Francesco Luxorio di Rocca Marti Marchese di Monteleone, Don Girolamo Torresani y Cervellon Conte di Sedilo, Don Felice Masson Conte di Montalvo, Don Salvatore Avmerich Conte di Villamar, Don Mattia de Cervellon  Governatore di Gallura, il giudice Cano Biancarello e, per favoreggiamento, l'Arcivescovo di Cagliari che riparò a Roma e il Vescovo di Ales che venne relegato a Toledo.

Don Bernardino Mattia di Cervellon morì confinato a Orani e fu seppellito a Busachi nella Chiesa di S. Antonio. In tanto trambusto Donna Francesca con Don Silvestro e la madre di questi la Contessa di Villamar ripararono in Cuglieri d'onde, scortati da armati cuglieritani e lussurgesi, si portarono a Bosa imbarcandosi per la Toscana dove il Granduca negò loro il rifugio; finirono a Villafranca di Savoia ove i due amanti si sposarono.

Il Marchese di Cea con squadre di armati si rifugiò, con congiurati, nei suoi feudi, sul Montenieddu, tra la Gallura e Monteacuto, deciso a vendere cara la pelle.

Don Antonio Brondo, padrone della casa ove s'appostarono per sparare i congiurati, fu condannato a morte, la casa rasa al suolo, passato l'aratro e sparso il sale!

Stanco della vita che menava, Don Giacomo Artaldo, coi congiurati, varcato il mare si recò anch'egli a Nizza dove s'erano stabiliti Donna Francesca e Don Silvestro.

In Francia il Gastelvì cercò di stringere accordi con le autorità per ottenere la flotta e le armi per occupare l'isola e cacciare la Spagna. Nel corso delle trattative spedì in Sardegna il congiurato Don Francesco Cao che, per il dirottamento della nave, sbarcò vicino a Civitavecchia; recatosi a Roma fu qui raggiunto da Don Giacomo Alivesi, uomo di fiducia del Duca di San Germano, che simulando di essere perseguitato anche lui, seguace fedele dei Castelvì, fece in modo di attirare in un tranello i fuoriusciti.

Vinti dalle lusinghe, dai consigli dell'Alivesi i congiurati riattraversarono il mare e sbarcarono nella zona di Vignola, in Gallura, ove furono accolti festosamente dall'Alivesi e da altro tristo figuro « uomo di turpe genia» come lo definì il Martini:  Don Gavino Delitala.

Inconsci del loro destino i congiurati, meno Don Antioco Brondo che morì giovanissimo nel Convento dei Capuccini di Cuglieri accompagnati dai due traditori, strumenti del Viceré Don Francisco Tuttavilla si trasferirono nell'isola Rossa di fronte a Castelsardo, dove la notte, mentre dormivano, furono freddati dagli schieramenti delle due spie, che scaricarono loro addosso i fucili; Don Giacomo Artaldo coperto di catene, vilipeso e sputato dalla soldataglia, fu trascinato fino a Cagliari ove gli venne letta la sentenza di morte il g giugno del 1671 e il 15 dello stesso mese, nella piazza maggiore del Castello di Cagliari, saliva sul patibolo perdendo la testa sotto la mannaia all'età di 65 anni.

Donna Francesca per interessamento e con gli aiuti di Don Antonio di Savoia si rinchiuse in un convento, ove finì i suoi giorni, espiando in un tormento immaginabile i lutti e il sangue di cui fu causa.

Fino a pochi anni fa a S. Lussurgiu, nella Sagrestìa della Chiesa parrocchiale era conservato un libro di preghiere di Donna Francesca Zatrillas.

Verso il 1688 — vent'anni dopo! — Don Gabriele Antonio Aymerich, figliolo di Donna Francesca e Don Silvestro ottenne la benevole considerazione tanto di Carlo II che di Filippo V e Carlo VI imperatore gli restituì il feudo materno di Settefuentes composto delle ville di Sennariolo, Flussio e Santulussurgiu sede questa del Marchesato di Settefuentes.

Più tardi il feudo passò in potere degli Amat di Sorso che lo tennero fino al 1839, anno in cui venne riscattato.

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