Tommaso Salvadori, scienziato
Lo vidi l'ultima volta alla fine ell'estate 1923, poche settimane prima che morisse. Era ricoverato all'ospedale, la voce era fioca, la mente lucida. Rassomigliava al padre del quale avevo davanti agli occhi l'immagine grazie ad una grande fotografia nel soggiorno principale dell'ex-casino di caccia della famiglia, che - ampliato - ne era stato per diecine di anni la residenza principale. Residenza nella quale veniva conservata al secondo piano quella che chiamavamo per antonomasia la Collezione degli Uccelli, raccolti da Tommaso Salvadori, donata poi al Comune di Fermo e sistemata in una villa alla periferia della città, subito fuori le mura medioevali.
Sapevo nel '23 che lo Zio Tom (come lo chiamavamo, il nome completo era Adlard Tommaso Salvadori-Paleotti) era uno scienziato. Solo più tardi mi resi conto che era un grande scienziato, che aveva acquistato reputazione internazionale (dieci anni dopo, trovandomi al Museo di Storia Naturale di Londra, vidi - con mia grande sorpresa - un casuario Casuarius salvadorii Sclater), che aveva pubblicato numerosi libri di alto valore scientifico ed un gran numero di articoli. Era stato per quarantacinque anni professore al liceo "Cavour" di Torino; cominciando come assistente e poi diventandone vice Direttore, aveva curato con impegno ed amore il Museo di Zoologia dell'Università torinese. Più però dell'insegnamento e del Museo era stato importante durante la sua lunga vita (sembra che se ne interessasse sin dall'età di dieci anni, cioè verso il 1845) lo studio scientifico dell'avifauna mondiale.
Eccetto indirettamente tramite i genitori, l'ambiente nel quale era nato e cresciuto non era stato favorevole alla sua formazione di scienziato. Proveniva dalla piccola nobiltà di provincia, spesso donrodrighista ed intellettualmente limitata, degli Stati pontifici, ritenuti allora da Italiani e da stranieri lo stato più arretrato della penisola, sgovernato da una teocrazia ancien regime i cui strumenti di controllo erano la polizia, la censura, l'ignoranza e, nell'istruzione rigidamente elitista, l'indottrinamento dogmatico e retrivo. Il fatto, allora eccezionale, di avere una madre inglese aveva contribuito ad aprirgli la mente. Nel 1832 era venuto a trascorrere un po' di tempo in Italia con la famiglia, e si era fermato al Porto di Fermo (oggi Porto San Giorgio) - località raccomandatagli dal console di Francia ad Ancona - l'irrequieto Adlard Welby, di discendenza normanna, che alcuni anni prima si era spinto nell'America del Nord fino all'Illinois da poco aperto alla colonizzazione bianca (pubblicò nel 1821 a Londra un libro pregevole sulle sue esperienze americane). Nel 1834 la figlia diciassettenne Ethelin sposò il diciottenne conte Luigi Salvadori.
Battezzato da un sacerdote cattolico, Zio Tom era cresciuto - come pure i fratelli e le sorelle - leggendo la Bibbia, cosa sufficiente per qualificarlo eretico protestante, e per isolarlo.
(Non vi era isolamento quando, quasi trentenne, si trasferì a Torino, nei confronti di Fermo - sede arcivescovile cardinalizia - un'oasi allora di tolleranza: il figlio Ernesto optò per il metodismo, il nipote Giulio, padre dello storico Massimo Salvadori, era valdese, come lo divennero parecchi nipoti e pronipoti, alcuni essendolo ancora). Ebbe un ruolo anche il fatto che il padre, per rimettere a posto le finanze dissestate della famiglia, introdusse innovazioni nella coltivazione, l'allevamento e la gestione della tenuta - innovazioni che ne fecero un pioniere nella trasformazione agraria della zona, e che, come provano libri e riviste che ancora esistono nella biblioteca di famiglia, erano l'adattamento nel Fermano di quanto veniva fatto in Inghilterra, dall'inizio del XVIII secolo il paese all'avanguardia del progresso agricolo.
Perché protestante e perché, anche se solo indirettamente, al corrente di quanto avveniva in Gran Bretagna, Tommaso Salvadori apparteneva all'ambiente creato dalla rivoluzione intellettuale, fattore centrale nello sviluppo della civiltà nord-atlantica caratterizzata dalla diffusione di metodi efficienti (scientifico, a posteriori, misto...) di servirsi delle facoltà mentali di cui si era dotati in misura più o meno uguale; metodi che in Inghilterra avevano avuto a campione Bacone il quale divenne ministro di Giacomo I, e in Italia Galileo al quale successe quello che successe... La rivoluzione alla quale, in un ambiente reso sicuro dal costituzionalismo parlamentare dello Stato di Diritto, si dovette l'enorme espansione di conoscenze in ogni campo (come pure si dovettero le scoperte ed invenzioni che furono l'ossatura solida della rivoluzione industriale e del moltiplicarsi a ritmo accelerato della produzione). Grazie, almeno in parte, ai genitori, Tommaso Salvadori si era emancipato dal dogmatismo tradizionale; grazie al suo buon senso non divenne vittima dei dogmatismi nuovi allora di moda in nazioni continentali sufficientemente libere perché vi fosse opposizione all'oscurantismo: l'idealismo dialettico hegeliano, il positivismo comtiano, il materialismo meccanicistico di molti illuministi inserito poi nella dialettica marxista, come non fu attirato dall'irrazionalismo volontarista o altro. (Come postilla che onora questa famiglia italo-britannica, solo quando era già vecchio, apparve in Italia l'empirio-positivismo antidogmatico milliano e spenceriano, di cui fu campione, fra gli altri, Guglielmo Salvadori, nipote di Tommaso).
Emancipazione dal dogmatismo tradizionale e rimanere estraneo a quello nuovo come pure a qualsiasi forma di irrazionalismo - indispensabili quella e questo per contribuire al progresso scientifico - non vogliono dire che l'individuo ne approfitti per dare sfogo alla creatività di cui siamo dotati e che i più evitano di usare: alla spontaneità alla quale già accennava Platone e che Kant postulava. La spontaneità fece quello che ostacolavano assolutismo ed oscurantismo - come allora si diceva, oggi dittatorialismo e conformismo coatto. Tommaso Salvadori fu per alcuni anni un uomo profondamente tormentato. (In questa fase della sua vita si arruolò fra i volontari della spedizione Medici che nel giugno 1860 raggiunsero Garibaldi in Sicilia, accompagnandolo sino alla battaglia del Volturno). Ebbe il vantaggio che furono comprensivi i genitori, e che lo aiutarono.
Aveva frequentato la facoltà di medicina a Pisa, laureandosi nel '58 e facendo poi un periodo di internato in un ospedale di Firenze. Però lo attiravano prepotentemente le scienze naturali ed in particolare l'ornitologia. Sposatosi con una cugina inglese e trasferitosi nel '64 a Torino, ne fece per il resto della sua vita la sua dimora materiale e spirituale, lavorando indefessamente alla vocazione diventata occupazione professionale; tenendosi in contatto con ornitologi di tutto il mondo; studiando e classificando esemplari che esploratori e scienziati di varie nazionalità riportavano dalle loro spedizioni; scrivendo e pubblicando; completando la conoscenza scientifica dell'avifauna in particolare dell'Asia sud-orientale, della Papuasia, Molucche ed Africa Orientale, ed anche di altre zone, da arcipelaghi polari scoperti da poco al cono meridionale dell'America del Sud recentemente annesso all'Argentina ed al Cile; partecipando a congressi (e catalogando un settore ornitologico del Museo di Storia Naturale di Londra).
Non lo interessavano denaro ed onorificenze; non lo distrassero né la politica né le manovrette indispensabili per far carriera nel mondo accademico, come in ogni altro campo burocratizzato. Quando lo vidi in quella fine d'estate del '23 avevo davanti a me uno scienziato impegnato ed anche, sotto ogni aspetto, un uomo modesto e retto.
Max Salvadori
(Professore Emerito di Storia)
Northampton, MA, U.S.A. Maggio 1990).
(*) TOMMASO SALVAORI, SCIENZIATO di MAX SALVADORI. in: Comune di Fermo, La Collezione ornitologica di Tommaso Salvadori - Catalogo - A cura di: Carlo Violanti, Gianna Zanazzo e Massimo Pandolfi, Centro stampa Comune di Fermo, 1977
(*) TOMMASO SALVAORI, SCIENZIATO di MAX SALVADORI. in: Comune di Fermo, La Collezione ornitologica di Tommaso Salvadori - Catalogo - A cura di: Carlo Violanti, Gianna Zanazzo e Massimo Pandolfi, Centro stampa Comune di Fermo, 1977